domenica 14 dicembre 2014

I mantra

La parola mantra deriva dalla combinazione delle due parole sanscrite manas (mente) e trayati (liberare). Il mantra si può quindi considerare come un suono in grado di liberare la mente dai pensieri. Sostanzialmente consiste in una formula (una o più sillabe, o lettere o frasi), generalmente in Sanscrito, che vengono ripetute per un certo numero di volte (Namasmarana) al fine di ottenere un determinato effetto, principalmente a livello mentale, ma anche, seppur in maniera ridotta, a livello fisico ed energetico. Esistono moltissimi mantra per gli scopi più diversi: la maggior parte sono in sanscrito, ma ne esistono anche in altre lingue. Il mantra più conosciuto è il mantra Om (Aum). In Tibet, molti buddhisti incidono i mantra nella roccia come forma di devozione. Il loro uso varia a seconda delle scuole spirituali o delle filosofie. Vengono principalmente utilizzati come amplificatori spirituali, parole e vibrazioni che inducono nei devoti una graduale concentrazione. I mantra vengono utilizzati anche per accumulare ricchezza, evitare pericoli, o eliminare nemici. I mantra hanno origine in India all'interno dell'Induismo Vedico e nel Jainismo, popolari in diverse e moderne pratiche spirituali che si rifanno seppur in modo impreciso alle antiche pratiche delle religioni orientali. I mantra sono considerati come suoni vibrazionali, a causa della grande enfasi che si pone alla loro corretta pronuncia (grazie allo sviluppo della scienza fonetica, in India, migliaia di anni fa). Il loro scopo è liberare la mente dalla realtà illusoria e dalle inclinazioni materiali. Il processo di ripetizione di un mantra è definito cantilena.
 
Aspetti dei mantra
Un mantra ha due aspetti: il primo è manana, e significa che ciò che si è ascoltato deve penetrare nella mente; il secondo è trania, e vuol dire che qualunque cosa sia penetrata nella mente vi deve essere fermamente stabilita e preservata. I mantra possono essere strumenti di adorazione, preghiera, terapia, avanzamento spirituale, purificazione o di offerta rituale. Essi sono suddivisi in dieci karma (azioni).
  1. Shanti: pace assoluta.
  2. Istambhan: che paralizza.
  3. Mohana: attraente noto anche come Sammoha.
  4. Uchchatan: (che turba) servono a turbare l’equilibrio mentale, aumentano il dubbio, l’incertezza, la paura, le delusione; la persona che ne subisce l’influenza agisce come se fosse posseduta.
  5. Vashikaran: (controllo della coscienza) servono a ridurre in schiavitù; chi ne subisce l’effetto perde capacità di discriminare diventando come una marionetta.
  6. Akarshan: servono ad attrarre persone che vivono lontano.
  7. Jrambhan: servono per cambiare paradigmi di comportamento, chi li subisce si comporta secondo il volere di chi li usa.
  8. Vidweshan: dividono due persone, creano rabbia, odio, gelosia, aggressività reciproche; i comportamenti rimangono invariati cambiano solo quelli in relazione alla persona selezionata.
  9. Pushti: servono per accrescere fama, ricchezza, prestigio, buona volontà, condizione sociale e potere proprio.
  10. Bija (seme): sono mantra di sintesi con un numero limitato di sillabe e sono considerati più potenti degli altri. 
 
I bīja
I bīja ("seme") sono monosillabi che generalmente non hanno un significato semantico, o lo hanno perso nel corso del tempo, ma vanno interpretati come suoni semplici atti a esprimere o evocare particolari aspetti della natura o del divino, e ai quali sono attribuiti funzioni specifiche e interpretazioni che variano di scuola in scuola. Spesso questi "semi verbali" sono combinati fra loro a costituire un mantra, oppure adoperati come mantra essi stessi (bījamantra). Alcuni fra i più noti sono:
  • AUṂ: è il bīja più noto, l'OṂ, comune a tutte le tradizioni. Considerato il suono primordiale, forma fonica dell'Assoluto, è utilizzato sia come invocazione iniziale in moltissimi mantra, sia come mantra in sé. Le lettere che compongono il bīja sono A, U ed Ṃ: nella recitazione A ed U si fondono in O, mentre la Ṃ terminale viene nasalizzata e prolungata fonicamente e visivamente. La recitazione dell'OṂ è molto comune, ed è considerata di grande importanza: numerosi testi citano e argomentano su questo mantra.
  • AIṂ: la coscienza. È associato alla dea Sarasvatī, dea del sapere.
  • HRĪṂ: l'illusione. È associato alla dea Bhuvaneśvarī, distruttrice del dolore.
  • ŚRĪṂ: l'esistenza. È associato alla dea Lakṣmī, dea della fortuna.
  • KLĪṂ: il desiderio. È associato al dio Kama, dio dell'amore, ma rivolto anche a Kālī, la distruttrice.
  • KRĪṂ: il tempo. È associato alla dea Kālī.
  • DUṂ: la dea Durga.
  • GAṂ: il dio Ganapati.
  • HŪṂ: protegge dalla collera e dai demoni.
  • LAṂ: la terra
  • VAṂ: l'acqua
  • RAṂ: il fuoco
  • YAṂ: l'aria
  • HAṂ: l'etere

Modi e Modi

Ci sono modi e modi. Ci sono modi e modi di trattare e di essere trattati. Modi di agire e modi di reagire. I modi che ci riservano gli altri sono quelli del loro mondo. I modi che noi riserviamo agli altri in risposta ai loro modi sono quelli del nostro mondo.

martedì 25 novembre 2014

Festival autunnale di poesia a Venezia

Poesia, performances, musica e installazioni. Senza dimenticare la componente di ricerca e quella didattica. Tutto questo è Andata e Ritorno 2.0 – Festival autunnale di poesia orale e musica digitale: appuntamento in programma per il 28 e 29 novembre a Venezia, presso l’incubatore Herion, sull’Isola della Giudecca. A firmare tutto è il collettivo artistico Blare Out in collaborazione con il Ma.c.Lab, Laboratorio di management delle arti e della cultura dell’Università Ca’ Foscari, che, proprio all’Herion, grazie a un’apposita convenzione recentemente stipulata con il Comune di Venezia (e con la Camera di Commercio), sta costruendo un nuovo modello di incubatore, in grado di far convivere un centro di ricerca e avamposto universitario, con il mondo delle piccole e medie realtà imprenditoriali culturali e creative, senza perdere di vista la parte di ricerca e di studio.
Il Festival del 28 e 29 propone due giornate con workshop e alcune delle esperienze più originali della poesia sperimentale italiana ed europea, con laboratori creativi, letture di poesie accompagnate da attività artistiche e performance musicali e digitali. Come ricorda il professor Fabrizio Panozzo, direttore del Laboratorio di management delle Arti e della Cultura del Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari, questo nuovo appuntamento all’Herion “vuole anche far riflettere sulle somiglianze tra impresa artistica ed impresa economica, ponendo la contaminazione come chiave di lettura”. Si parte venerdì sera alle 18 e 30 con un workshop – Il ruolo dell’ispirazione artistica per stimolare l’imprenditorialità creativa – in cui Blare Out e il Laboratorio di Management dell’Arte e della Cultura dell’Università Ca’ Foscari dialogheranno con il pubblico presente, prima di lasciare spazio alle 19 alla poesia performativa. Seguiranno buffet, performance, visuals, installazioni e musica anche nella serata di sabato, entrambe ad ingresso gratuito con lista.

domenica 23 novembre 2014

Intolleranze alimentari e cibo troppo elaborato


Le intolleranze alimentari potrebbero essere provocate dal consumo di un cibo troppo elaborato. E’ l’ipotesi di un gruppo di studiosi dell’University of Warwick in seguito a una ricerca diretta dal dottor Rob Lillywhite il quale sostiene che alcuni disturbi alimentari non dipendono da alcune sostanze, bensì da errati metodi di lavorazione dell’industria alimentare. tantasalute.it

lunedì 10 novembre 2014

Museo Dalí Centro Artistico Scultore


Mappa

  • Carrer dels Arcs 5
    08002 Barcelona
  • Telefono 933 181 774
  • daliabarcelona.com
  • Ciro

    La collezione privata delle opere di Dalì

    La collezione privata delle opere del celebre pittore e artista surrealista Salvator Dalì è situata all'interno del Museo del Real Círculo Artístico de Barcelona, nel centro della città catalana. Si tratta di un insieme di 44 sculture e dipinti appartenenti alla collezione Clot, create dal maestro negli anni 70: Sono le uniche statue per le quali Dalì non si avvalse di artigiani.
    L'entrata è a pagamento (8 euro normale, 6 per gli studenti).
    L'edificio in cui si trova l'esposizione è al piano terra del Palazzo Pignatelli. Al piano superiore c'è il Real Círculo Artístico, fondato nel 1881.
     

www.daliabarcelona.com
Calle Arcas, nª 5
93 318 17 74
Barcelona 08002
info@dalibarcelona.com

domenica 26 ottobre 2014

Borghetto degli Artisti a Roma

Roma - "Borghetto degli Artisti"
"Paolo"
"Paolo"
"Paolo"
"Paolo"


"Enza"

Un angolo del "Borghetto degli Artisti" a Roma

Terrazza "Paolo e Chiara"
Un angolo di Paradiso per un soggiorno a Roma a partire da un mese
"Maria"


"Chiara"


Un angolo del "Borghetto degli Artisti"


"Borghetto degli Artisti" a Roma
via Basilio Puoti 73/75
arch.renato.nistico@gmail.it
(+39) 3201133396 (Phone& WhatsApp)

Come raggiungerci

AEREO
Aeroporto di Fiumicino, fermata “Fiumicino”, prendere Treno Aeroporto-Fara Sabina/Orte (ogni 20 min.), scendere alla fermata “Trastevere”, prendere Treno metropolitano FM3 Roma-Viterbo fino alla fermata “MonteMario”, dopo fermata "Gemelli"vicino Università Cattolica.
TRENO
Dalla Stazione Roma Termini prendere la Metropolitana Linea A, scendere alla fermata “Valle Aurelia”, poi prendere Treno metropolitano FM3 Roma-Viterbo fino alla fermata “MonteMario”.
TRASPORTO PUBBLICO
Le seguenti linee di autobus hanno fermate vicino il Borghetto
• n.913 (percorso: dal capolinea "Piazza Agusto Imperatore" (centro storico) alla Stazione Monte Mario: scendere in via Trionfale/angolo via Troya (due fermate prima del capolinea Stazione Monte Mario).
 • n.911 (percorso tra "Mancini" e "Ospedale S. Filippo Neri": scendere alla seconda fermata di via "Cherubini"/angolo via Angiulli
E' inoltre possibile usufruire del Treno metropolitano FM3 Roma-Viterbo fino alla fermata “Gemelli”.
AUTO
Chi proviene da Sud  (Napoli) dopo essersi immesso nel Grande Raccordo Anulare, può prendere:
• L’uscita 1 – Via Aurelia (direzione Piazza Irmerio - Via della Pineta Sacchetti - via Trionfale)
• L’uscita 2 – Via Boccea (direzione Via di Torrevecchia -  Via della Pineta Sacchetti - via Trionfale)
• Chi proviene da Nord (Firenze) può prendere l’uscita 3 Via Cassia (direzione Trionfale).



giovedì 21 agosto 2014

Intervista con Andrei Tretyakov

Il collezionista, l’artista e la curatrice. Intervista con Andrei Tretyakov

Si chiama Andrei Tretyakov ed è fra i più importanti collezionisti al mondo. Ha raggiunto Genova per vedere la mostra di Andrei Molodkin, “Transformer No. M208”, in corso a Palazzo Ducale fino al 24 agosto. È giovane, informale, disinvolto e, soprattutto, entusiasta. La curatrice della mostra, Linda Kaiser, lo ha intervistato per noi.


Andrei Tretyakov, foto Linda Kaiser
Andrei Tretyakov, foto Linda Kaiser
Sei parente del fondatore della celeberrima Tretyakov Gallery di Mosca?
Sì. Anche se, in effetti, mio padre fece ricerche sulle origini della sua famiglia, ma non riuscì a risalire molto indietro, a causa del regime dell’Unione Sovietica.
Tu dove e quando sei nato?
Sono nato nel 1978 in Kazakistan, uno stato transcontinentale tra Europa e Asia, una ex Repubblica dell’Unione Sovietica.
Come e perché hai iniziato a collezionare arte?
Sull’onda di una passione di famiglia. Mio padre è un collezionista di arte antica e io, mentre studiavo Finanza all’università, ho iniziato a interessarmi all’arte. Papà ha sempre comprato quello che gli piaceva, senza seguire una linea precisa. Io vivo a Londra dal 2001 e, da allora, sono stato coinvolto nella comunità artistica. Poi ho incontrato Ilona Orel, la direttrice dell’omonima galleria parigina, che stava facendo un bel lavoro nel far conoscere in Occidente l’arte post-sovietica.
Così hai conosciuto Andrei Molodkin?
Esattamente. Mi innamorai subito delle opere di questo artista. Nel 2009 fondai la sede londinese di Orel Art in Howick Place. La mostra d’inaugurazione, Liquid Modernity, aperta in aprile, fu la prima personale di Molodkin sul suolo britannico. E lui, in quello stesso anno, avrebbe rappresentato la Russia alla 53. Biennale di Venezia. In quel momento pensai davvero a “sperimentare” con l’arte, l’underground, gli artisti russi…
Andrei Molodkin, Transformer No. M208, Salone del Maggior Consiglio
Andrei Molodkin, Transformer No. M208, Salone del Maggior Consiglio
E poi come si sviluppò la tua partecipazione attiva al sistema dell’arte?
In un paio di anni compresi che il mio interesse era rivolto agli artisti che operano in un contesto sociopolitico, come Kendell Geers, Marina Abramovic, David Birkin, Santiago Sierra, Ai Weiwei, oltre naturalmente ad Andrei Molodkin. Decisi allora di fondare a Londra un’organizzazione non profit, a/political, che supporta e promuove gli artisti che lavorano in questo settore.
Già il nome scelto, a/political, è particolarmente simbolico.
Sì, perché scritto così, con lo slash che separa la “a” dall’altra parola, ha un doppio significato: indica una dualità, quella stessa che si ritrova nell’utopia e nella distopia. Ci si sente nella politica (a political) ma, allo stesso tempo, non direttamente coinvolti (apolitical).
Qual è il programma di a/political?
Non abbiamo agende particolari, ma lavoriamo contemporaneamente con molti artisti – di recente, ad esempio, Peter Kennard –, che scelgo insieme ai progetti pilota da seguire, come la Société Réaliste, un collettivo franco-ungherese con base a Parigi.
La tua collezione rispecchia quest’ottica?
Indubbiamente. Io cerco artisti che – non necessariamente attivisti – abbiano qualcosa da dire, come quelli che prendono parte all’iniziativa Artraker: Awarding Creativity in Art & Conflict,che premia chi s’impegna e risponde alla guerra per mezzo dell’arte. La collezione di circa 200 opere, che nel frattempo ho costruito, parte dagli inizi del XX secolo, dalle foto di Alexander Rodchenko. Mi piace movimentare le opere attraverso la partecipazione a mostre significative, in corso anche in questi giorni, in giro per il mondo.
Andrei Molodkin, Transformer No. M208 - foto Linda Kaiser
Andrei Molodkin con Transformer No. M208 – foto Linda Kaiser
Parliamo di Andrei Molodkin?
Per me è un artista unico. Esprime un “minimalismo politico” capace di trasmettere un forte messaggio. Andrei cresce e si sviluppa di continuo, è sempre “on the edge”, sul limite: è come un radar che, attraverso i temi dell’economia, del denaro, del petrolio e dell’energia, capta il movimento politico globale. Lui reinterpreta l’economia del mondo con una sinergia perfetta di forma e sostanza. Le sue opere sono anche esteticamente bellissime.
Che ne pensi di questa prima mostra personale di Molodkin in uno spazio pubblico in Italia?
Già al Museum Villa Stuck a Monaco, nella mostra Liquid Black del 2012, Molodkin aveva instaurato un “dialogo” fra arte antica e arte moderna; ma qui, nel Palazzo Ducale di Genova, scatta davvero un feeling nel subconscio. Si tratta di una vera e propria esperienza emozionale: quando si entra nel Salone del Maggior Consiglio, il mondo diventa “obsoleto”, ci si sente piccoli. Nella Cappella del Doge, poi, il simbolismo della croce, che l’artista fa interagire con l’ambiente, ha un effetto anche fisico ancora più forte.
Come trovi la scena londinese per l’arte contemporanea?
Bisognerebbe separare l’art market dall’arte in generale. Le opere prodotte oggi sono molto “concertate”. Negli ultimi anni, la gente mira a un’arte decorativa, alla moda, che non faccia pensare. A Londra chiunque apre gallerie o acquista arte, ma non necessariamente perché la capisce. L’art market supporta questo sistema attraverso la moda, i party glamour e i meccanismi sociali, che non hanno praticamente niente a che vedere con l’arte.
E le gallerie?
Le grandi gallerie multinazionali, come Gagosian e la White Cube, sono molto commerciali e mettono in mostra ciò che è facile da vendere, non i giovani su cui scommettere, per cui non si vedono artisti interessanti, ma sempre gli stessi. Le giovani gallerie londinesi sono superficiali oppure, dopo che hanno lanciato due o tre nuovi artisti – che non vendono –, hanno problemi economici a continuare l’attività. Nella capitale inglese l’arte rimane, comunque, un elemento di dibattito e di conversazione “sociale”.
Andrei Molodkin, Transformer No. M208, Cappella del Doge-2
Andrei Molodkin, Transformer No. M208, Cappella del Doge-2
Quali sono, secondo te, i Paesi oggi più interessanti nella “produzione” dell’arte?
La Spagna, ad esempio, con Santiago Sierra e il collettivo Democracia. Negli Stati Uniti accade sempre qualcosa di notevole. Poi ci sono il Sudafrica; gli artisti, in generale, che rispondono alle crisi e ai conflitti; il Medio Oriente; la Cina con Ai Weiwei.
Cosa ricerchi in particolare nell’arte?
Trovo importante la Street Art e mi piace molto la Black Music sudafricana, ma quello che amo di più è quando le arti si fondono, gli artisti si sentono liberi e non ci sono confini. Ammiro il mix di video, musica, film, street performance; l’esplorazione dei nuovi media digitali e delle tecnologie, che oggi permettono costi ragionevoli e possibilità illimitate.

Linda Kaiser

Genova // fino al 24 agosto 2014
Andrei Molodkin – Transformers No. M208
a cura di Linda Kaiser
PALAZZO DUCALE
Piazza Matteotti 9
010 9280010
palazzoducale@palazzoducale.genova.it
www.palazzoducale.genova.it

domenica 29 giugno 2014

ACCADDE IERI: Giancarlo Mazzuca, attuale direttore de Il Giorno, nominato Accademico Tiberino

Giancarlo Mazzuca tra gli Accademici Tiberini premiati a Roma
 

iltempo.it

 
24/01/2004 24:00

Del Noce tra i nuovi Accademici Tiberini

Roma - Questa sera, all'Auditorium capitolino di via Ennio Quirino Visconti, il presidente dell'Accademia Tiberina, Ferdinando Mariotti, dopo aver premiato, tra gli altri, lo scorso anno, Tony Renis, Elettra Morini, Mirco Tremaglia, Oliviero Beha e Michele Mirabella, «incoronerà» personaggi che nel corso della loro carriera si sono distinti sotto il segno dell'ingegno. Tra di loro, il vicedirettore de «Il Tempo», Giuseppe Sanzotta, si è meritato il più prestigioso titolo accademico internazionale di «Accademico Tiberino», un titolo fondato a Roma, agli albori dell'Ottocento da un gruppo di privati cittadini, dotti e letterati di tutta Italia, residenti nell'Urbe, tra cui Gioachino Belli. Lo scopo era, e lo è ancora, quello di coltivare le scienze, le arti e le lettere latine ed italiane, e, particolarmente, ciò che riguardava la Capitale. Tra gli altri premiati, Fabrizio Del Noce, Giancarlo Leone, Paolo Gambescia, Giancarlo Mazzuca, Antonio Bozzo, Enrico Singer, giunto da Bruxelles, nonché il teologo-filosofo paolino Cristian Pagano; per lo spettacolo toccherà a Piera Degli Esposti, interprete di «Diritto di Difesa», per la moda a Micol Fontana. Accademici di oggi che continueranno la gloria culturale dei grandi Accademici Tiberini di ieri, come Vincenzo Monti, Antonio Canova, Guglielmo Marconi, Maria Curie, Massimo d'Azeglio, Alessandro Manzoni, Benedetto Croce, Gioacchino Rossini, Vincenzo Bellini, Franz Listz.
feliciana di spirito @ gmail . com

ACCADDE IERI A MILANO CON QUELLI DEL GIORNO

Web e attenzione al territorio Spe e Giorno crescono insieme

«La crisi non ci ha fermato»

Alessandro Gigante
Milano - Nella convention milanese della Società Pubblicità Editoriale all'hotel Hermitage discussi gli andamenti di mercato e le prospettive future
LA SQUADRA Il direttore del Giorno Ugo Cennamo  e il vicedirettore Laura Fasano  (al centro in prima fila) tra i dirigenti  e gli esperti protagonisti  del confronto promosso a Milano  dai vertici della Società pubblicità editoriale
LA SQUADRA - Il direttore de Il Giorno, Ugo Cennamo e il vicedirettore Laura Fasano (al centro in prima fila) tra i dirigenti e gli esperti protagonisti del confronto promosso a Milano dai vertici della Società Pubblicità Editoriale
Milano, 4 ottobre 2012 - ATTENZIONE AL TERRITORIO, ascolto delle istanze di lettori e inserzionisti sui mezzi di comunicazione e integrazione sempre più attiva tra le potenzialità della carta stampata e quelle dei nuovi portali web. Sono i punti chiave per proseguire il cammino della Spe, concessionaria di pubblicità del gruppo Poligrafici Editoriale, che ha riunito ieri dirigenti e promotori per commentare gli andamenti di mercato e delineare le strategie future. All'incontro organizzato in scena all'hotel Hermitage di Milano l'amministratore delegato di Poligrafici Editoriale, Andrea Riffeser Monti, ha iniziato ricordando proprio l'importanza di recepire le attese del territorio, che hanno portato il quotidiano del gruppo, Il Giorno, a essere il primo giornale in Italia per crescita di lettori con un +24,6% (certificazione Audipress maggio-giugno 2012) e il secondo in regione per numero di lettori.
«SAPER leggere l'ambiente dove operiamo è il nostro punto di forza - ha spiegato l'amministratore delegato di Spe, Luigi Randello - Con la crisi è finita l'epoca in cui le cose erano facili - ha continuato - ma sfruttando le potenzialità e le sinergie del gruppo, soprattutto nell'ambito online, c'è lo spazio per crescere molto». Il direttore de Il Giorno, Ugo Cennamo, ha quindi ribadito l'importanza del continuo intreccio tra carta stampata e web: «Cerchiamo sempre più di dare voce ai lettori - ha detto - cogliendo gli spunti interessanti, le loro istanze e le loro aspettative». Gli ha fatto eco il direttore marketingdel gruppo,Pierluigi Masini: «In un panorama nazionale in cui i quotidiani hanno visto svanire in un anno quasi un milione di lettori, tutte le testate del gruppo sono rimaste in positivoconquistando il pubblico giovane e accrescendo i numeri dei contatti su internet. Poter offrire tre giornali in uno (quotidiano nazionale, sportivo e edizioni locali) con l'aggiunta sul web di portali dedicati a molteplici campi d'interesse è qualcosa di unico che conquista il pubblico».
È' STATA poi la volta del direttore del Quotidiano Sportivo, Enzo Bucchioni, che ha ricordato come di fatto l'inserto distribuito in tutte le edizioni del gruppo sia oggi il giornale di settore più letto in Italia: «Offriamo le storie dei grandi campioni accanto agli astri nascenti di provincia - ha spiegato - ottenendo ottimi riscontri, pur essendo nati da meno di 4 anni». Il business development manager di Monrif.net, Cesare Navarotto e il direttore Business Unit Digital di Spe, Fabrizio Tomei hanno quindi illustrato la crescita del settore multimediale, spiegando come nonostante un generale rallentamento del mercato le testate abbiano mantenuto il trend di crescita. Riccardo Matina, direttore commerciale di Poligrafici Printing, ha poi illustrato le possibili sinergie commerciali con Spe. Nel pomeriggio l'incontro è proseguito con l'intervento degli agenti degli uffici Spe locali coordinati dal direttore Antonio Longo.

L'appello accorato di Ileana Argentin


Urgentemente una legge sul #dopodinoi per i 2 milioni e 600 mila persone colpite da disabilità grave e per questo non autosufficienti. Ileana chiede l'approvazione della legge entro la prossima giornata della disabilità. Unisciti a lei.

 
Ciao Feliciana,
Sono già due mesi che Alessandro e Mariateresa non ci sono più. Sergio li ha uccisi, il 9 aprile.
Aveva paura di morire e di lasciare solo Alessandro, suo figlio disabile, visto che alla mamma, Mariateresa, era stato diagnosticato un grave male. Incontravo spesso quest'uomo che spingeva la carrozzina del figlio. Abitavano a duecento metri da casa mia e tutte le volte Sergio mi diceva: "Che succederà, ad Alessandro, dopo la mia morte e quella di mia moglie ? Non abbiamo parenti, Ileana fai qualcosa per il “DOPO DI NOI”, non dimenticartene." 
Per lui e per tanti altri familiari, nella precedente legislatura ho scritto una legge sul “DOPO DI NOI”. Erano e sono tanti i papà e le tante mamme che bussano alla mia porta chiedendo una soluzione per i loro figli disabili non autosufficienti nel momento in cui verranno a mancare. La politica, si sa, è lenta e i tempi sono andati oltre il previsto. Oggi, fortunatamente, la legge sta arrivando in commissione e il suo iter sta per cominciare. Nel frattempo, però, Sergio non ce l'ha fatta. Ha sparato ed è diventato un assassino.
Io, pur essendo fortemente attaccata alla vita ho capito quel padre. Non l'ho giustificato, l'ho capito... Anche io sono figlia e so, da sempre, che i miei genitori hanno paura di lasciarmi e per questo non si concedono neanche il “lusso” di un'influenza, figuriamoci la possibilità di invecchiare e morire.
Eppure io sono una donna adulta, felice di essere quella che sono, una persona “faticosamente autonoma”, ma tutto questo non basta a mia madre e mio padre per non aver l'ansia del “dopo di noi”.
Tutti i genitori che ho conosciuto, con un figlio disabile, hanno come grande e a volte unica preoccupazione il “dopo”. Il momento in cui diventeranno vecchi e non potranno più assistere il figlio che non è in grado di far fronte autonomamente alle necessità della vita quotidiana. La legge che ho proposto parte proprio da quest'ansia, a cui vuole dare una risposta, garantendo l'assistenza al disabile nella propria abitazione o il progressivo inserimento in comunità familiari e case famiglia. 
Perché ciò avvenga la legge prevede la costituzione di un fondo con risorse pubbliche e private che saranno gestite in base ai criteri della legge 328/2000. Sono previste agevolazioni fiscali per chi eroga risorse finalizzate al medesimo obiettivo e forme di defiscalizzazione.
Questa legge è urgentissima, perché di famiglie in queste condizioni ce ne sono davvero tante. Sono 2 milioni 600 mila le persone che nel nostro Paese sono colpite da disabilità grave e per questo non sono autosufficienti. Ciò vuol dire che le famiglie italiane interessate sono circa il 15 per cento del totale, quindi il 4,8 della popolazione italiana.
Grazie
Ileana Argentin

ACCADDE IERI: Antonio Monda a "Librandosi"

 Comacchio     

‘Librandosi’ chiude con Antonio Monda

Lo scrittore ospite per l'ultimo appuntamento della rassegna alla libreria Le Querce

Antonio Monda
Antonio Monda
Lido degli Estensi. Ultima serata da “Oscar” della cultura per Librandosi, la fortunata rassegna letteraria del Lido degli Estensi, organizzata dalla Querce Project in collaborazione con il Comune di Comacchio e il Consorzio Vivi Spina-Estensi.
Sul palco del salotto letterario della Libreria Le Querce, salirà il 2 agosto Antonio Monda, giornalista dell’ inserto culturale della Repubblica e docente universitario presso l’Università di New York “Tisch School of the Arts”. Dal 1994 lo scrittore risiede a Manhattan e negli anni ha avuto il privilegio di poter invitare nella suo appartamento, affacciato su Central Park, scrittori come Philip Roth, architetti del calibro di Renzo Piano e attori, tra i quali l’ amico Al Pacino.
Nel 2006 ha fondato assieme a Davide Azzolini il festival letterario Le Conversazioni, rinomato in tutto il mondo, di cui è direttore artistico. A Librandosi presenterà la sua ultima opera “Il paradiso dei lettori innamorati” (Mondadori), un libro per lettori innamorati del meglio della letteratura americana contemporanea. Nel bouquet non manca nessuno, da Martin Amis a Paul Auster, da Don De Lillo a Jonathan Franzen. L’argomento è il cinema, i cinque film più amati e un paio dei più detestati o sopravvalutati. Un modo divertente e non accademico di affrontare l’affascinante tema del rapporto fra cinema e letteratura.
Inoltre l’ autore parlerà del romanzo scritto nel 2012 “L’ America non esiste” (Mondadori), ambientato nei primi anni Cinquanta, in un piccolo paesino del Meridione d’Italia. I due protagonisti, Maria e Nicola sono due fratelli appena ventenni: troppo giovani per rimanere soli al mondo, e giovanissimi per attraversare l’oceano fino al Nuovo Mondo. Rimasti improvvisamente orfani, vengono affidati a uno zio che ha fatto fortuna in America. I due ragazzi sceglieranno strade opposte, e nei loro destini incrociati è racchiuso il  senso segreto di una città favolosa.
Prima della serata verrà presentata al grande pubblico l’ opera della designer Anna Chinaglia “Calendario ludico”. L’ organizzazione invita tutti coloro  che vorranno partecipare a prenotare i posti al numero di telefono 347/9610913.

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Papa Francesco: I sui libri preferiti

I libri preferiti dal Santo Padre

Tiziana Lupi


Il Pontefice ha letto tre volte anche la "Divina commedia" di Dante Alighieri (credits: Getty Images)
Il Pontefice ha letto già tre volte la “Divina commedia” di Dante Alighieri (credits: Getty Images)
Papa Francesco ama leggere. È stato lui stesso a parlare più volte di questa sua passione, raccontando anche che, quando viaggia, nella sua inseparabile borsa nera insieme al rasoio, al breviario e all’agenda, c’è sempre un libro. Ma cosa legge il Pontefice? Quali sono i suoi gusti letterari e i suoi autori preferitiAncora una volta, come spesso accade quando si parla della sua persona, è lui a rispondere, seppure indirettamente, alle nostre domande.
La passione per HÖlderlin
Di libri, per esempio, ha parlato con il direttore Antonio Spadaro nella lunga intervista rilasciata qualche tempo fa alla rivista dei Gesuiti La Civiltà Cattolica. «Amo moltissimo Hölderlin» ha detto a Spadaro, riferendosi al poeta tedesco, considerato uno dei più grandi della letteratura mondiale. Tra tutte le sue poesie, ha aggiunto, «voglio ricordare quella lirica per il compleanno di sua nonna che è di grande bellezza e che a me ha fatto anche tanto bene spiritualmente».
La poesia in piemontese
La poesia di cui parla Francesco si intitola “Alla mia venerabile nonna (nel giorno del 72° compleanno)” e si chiude con i versi: «E imparerò a vivere a lungo come te, o madre! Pia e devota nella vecchiaia. Voglio venire da te, benedici ancora una volta tuo nipote e così possa l’uomo portare a compimento la promessa del bambino che è stato».
Non è difficile immaginare, conoscendo l’attaccamento di Jorge Bergoglio a sua nonna Rosa, come mai ami tanto questi versi: «Mi ha colpito anche perché ho molto amato mia nonna Rosa e lì Holderlin accosta sua nonna a Maria che ha generato Gesù, che per lui è l’amico della terra che non ha considerato straniero nessuno».
Grazie a nonna Rosa, Francesco ha conosciuto anche l’opera di Nino Costa: con la sua poesia Rassa nostrana, che il Papa conosce a memoria, quando era piccolo la nonna gli insegnava il dialetto di quel Piemonte da cui i suoi parenti erano partiti alla volta dell’Argentina. Nella libreria di papa Francesco, che ama anche l’opera in versi (La freschezza più cara) di Gerard Manley Hopkins, considerato uno dei fondatori della poesia inglese moderna, non c’è però posto solo per i libri di poesia.
Anzi: tra i suoi scrittori preferiti c’è il russo Fedor Dostoevskij, autore, tra gli altri, di Memorie dal sottosuolo, Delitto e castigo, L’idiota e I fratelli Karamazov. E ci sono anche due italiani: Alessandro ManzoniDante Alighieri. A padre Spadaro
Bergoglio ha confidato di avere letto I promessi sposi già tre volte e di avercelo «adesso sul tavolo per rileggerlo. Manzoni mi ha dato tanto» spiega, tirando ancora una volta in ballo la nonna che, «quando ero bambino, mi ha insegnato a memoria l’inizio di questo libro: “Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti…”».
I tre regni dell’aldilà
Come molti, probabilmente, ricorderanno sono proprio le parole con cui inizia il romanzo di Manzoni che descrive così il luogo in cui stanno per cominciare le (dis)avventure del curato don Abbondio e di Renzo e Lucia, i due giovani protagonisti del  romanzo che vorrebbero sposarsi ma incappano nella prepotenza di don Rodrigo, signorotto locale incapricciato della ragazza e per nulla disposto a lasciarla tra le braccia del suo fidanzato. Nel febbraio scorso, in un messaggio inviato ai pastori pentecostali del Texas, Francesco ha usato proprio una frase di Alessandro Manzoni: “Non ho mai trovato che il Signore abbia cominciato un miracolo senza finirlo bene”.
Come I promessi sposi, il Pontefice ha letto tre o quattro volte anche la Divina commedia, il viaggio immaginario di Dante all’interno dei tre regni dell’Aldilà (Inferno, Purgatorio e Paradiso), una passione condivisa con un altro dei suoi autori preferiti: Jorge Luis Borges, «un agnostico che tutte le sere recitava il Padre Nostro perché l’aveva promesso alla madre e che morì con il conforto religioso». Con Borges, che, quando era professore di letteratura, invitò a tenere delle lezioni nel suo liceo, Francesco amava parlare a lungo di Dostoevskij e di un altro autore argentino: Leopoldo Marechal di cui apprezza in modo particolare il romanzo Megafon o la guerra.
Le confessioni di Sant’Agostino
A proposito di romanzi, un’altra delle letture preferite del Pontefice è Il padrone del mondo di Robert Hugh Benson, sacerdote anglicano, figlio di un arcivescovo di Canterbury, che si convertì al cattolicesimo. Del romanzo, in cui l’autore paventa la scomparsa della fede cristiana a causa dell’influenza del relativismo, Francesco ha parlato in un’omelia dello scorso novembre: «Quasi come fosse una profezia, immagina cosa accadrà. Benson ha visto proprio quello spirito della mondanità che ci porta all’apostasia».
Naturalmente, tra tanti titoli, sugli scaffali di Bergoglio c’è posto anche per libri religiosi. Gli Esercizi Spirituali di Ignazio di Loyola, innanzi tutto, fondatore dell’ordine dei Gesuiti al quale lui stesso appartiene. E poi, tra i tanti, Teresa di Lisieux. Vita e attualità di René Laurentin, dedicato alla monaca carmelitana, mistica e drammaturga francese nota come santa Teresa del Bambino Gesù (o santa Teresina), al quale il Papa è molto devoto. Oppure, come raccontava al direttore Ferruccio de Bortoli nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera nel primo anniversario del suo pontificato, Pietro e Maddalena di Damiano Marzotto: un saggio sulla collaborazione tra donne e uomini nel Nuovo Testamento, sull’originalità e l’importanza del ruolo femminile nel processo di evangelizzazione, che ha definito«un bellissimo libro».
Da non dimenticare, infine, Tardi ti ho amato, romanzo di formazione e di conversione dell’irlandese Ethel Mannin, una riflessione sul rapporto tra gli uomini e con Dio che deve il titolo a una citazione delle Confessioni di Sant’Agostino. Un libro che l’allora professor Bergoglio faceva leggere ai suoi alunni del collegio dell’Immacolata di Santa Fe, in Argentina.
Alla mia venerabile nonna -Un brano dalla poesia di Hölderlin che papa Francesco ama di più
E le lacrime scorrono, come una volta, ancora dai miei occhi;
e ripenso ai lontani giorni passati e il mio cuore solitario gioisce
Ricordando la patria, e la casa, dove una volta sono cresciuto con la tua benedizione,
Dove nutrito d’amore, il bambino fiorì più in fretta.
Ahimè, come spesso ho pensato che ti avrei reso felice quando mi vedevo attivo nel futuro, nel vasto mondo.
Alcune cose le ho inseguite e sognate
E ho il petto ferito dal combattimento,
Ma tu me lo guarisci subito, o amata!
E imparerò a vivere a lungo come te, o madre!
Pia e devota nella vecchiaia.
Voglio venire da te,
Benedici ancora una volta tuo nipote e così
Possa l’uomo portare a compimento la promessa del bambino che è stato.

Johann Christian Friedrich Hölderlin (Lauffen am Neckar, 1770 – Tubinga, 1843).
Un brano della poesia in piemontese “Rassa nostrana” (razza nostrana), di Nino Costa (Torino, 1886-1945). – Il Papa la conosce a memoria fin dall’infanzia.
«Aj Piemunteis ch’a travajo fora d’Italia. Drit e sincer, cosa ch’a sun, a smijo: / teste quadre, puls ferm e fìdic san / a parlo poc ma a san cosa ch’a diso / bele ch’a marcio adasi, a van luntan».
(Ai piemontesi che lavorano fuori d’Italia. Diritti e sinceri, quel che sono, appaiono: / teste quadre, polso fermo e fegato sano/parlano poco ma sanno quel che dicono / anche se camminano piano, vanno lontano).

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giovedì 26 giugno 2014

Con la cultura si mangia! Parola di Emmanuele Emanuele

Roma - "Cultura, l’alternativa alla crisi per una nuova idea di progresso". E' il titolo del X Rapporto Annuale Federculture presentato nella mattinata di giovedì 26 giugno 2014 presso la Sala Accademica del Conservatorio di Santa Cecilia, alla presenza del Sottosegretario alla Cultura, del Ministro dell'Istruzione e del Sindaco di Roma. Il presidente della Federazione, Roberto Grossi, ha illustrato i principali contenuti dello studio, concentrandosi su diversi temi.
Con i relatori presenti si è parlato di un orientamento verso un nuovo progresso, guidato prevalentemente dai giovani, da un principio di autonomia delle istituzioni, alla luce dell'Art Bonus da poco introdotto, della possibilità di stringere collaborazioni tra pubblico e privato, con l'intento di offrire agevolazioni ai cittadini per la fruizione di beni culturali.
Il Ministro Giannini ha ribadito la necessità di potenziare non solo la storia dell'arte, ma le discipline umanistiche in generale nei percorsi didattici. Oltre alle proposte, sono stati analizzati alcuni dati, come, in particolare, sulla situazione della Capitale: la rete dei musei cittadini ha perso nell'ultimo anno il 5,7% dei suoi visitatori, cioè circa 1,4 milioni di persone. Si tratta di valori che erano già calati a partire dal 2012, dopo un decennio di crescita inarrestabile. Tra le istituzioni in difficoltà, al primo posto c'è il Macro, con una riduzione di pubblico del 52%, seguita dalla Gnam, a quota - 20%. I Musei Capitolini e Palaexpo, invece, hanno perso rispettivamente il 9% e il 10%.
Non mancano, comunque, gli esempi di buona gestione come il Maxxi con un aumento del 43% dei visitatori e il Museo dell'Ara Pacis con il 37% d'incremento.
Sebbene Roma catalizzi circa il 90% dei visitatori della Regione Lazio, i risultati complessivi di quest'ultima risultano soddisfacenti. I visitatori totali sono stati nel 2013 ben 17, 6 milioni (il 20% del pubblico dei siti italiani), vale a dire il 4% in più rispetto al 2012, mentre gl' introiti sono aumentati dell'8%, superando i 54 milioni di euro. Con la cultura si mangia!Parola di Emmanuele Emanuele.

domenica 22 giugno 2014

Mens sana in corpore sano nell'articolo di copertina di Lucia Di Spirito sulla testata della Mondadori "Il Mio Papa"

A tavola Francesco c'invita alla semplicità


Il pranzo con i giovani alla Giornata della Gioventù di Rio, il 26 luglio 2013 (credits: Getty Images)
Il pranzo con i giovani alla Giornata della
Gioventù di Rio, il 26 luglio 2013 (credits: Getty Images)
Il piatto più prelibato? Per i Gesuiti non ci sono dubbi: il pane. La tradizione dell’ordine favorisce la cucina semplice, e una delle regole per i commensali è proprio quella di saziarsi di pane, perché così si evita il “disordine” che viene dall’essere “tentati da altri alimenti”. Il gesuita Jorge Mario Bergoglio ha evidentemente preso a cuore questa impostazione.
La dieta del Papa, infatti, riflette la sua austerità religiosa. Al tempo stesso, però, l’austero Francesco si rivela un uomo che apprezza i piaceri semplici, e alcuni dei prodotti per i quali la sua Argentina è famosa, non dimenticando, comunque, le sue radici italiane. La prima cena che Jorge Bergoglio ha consumato dopo l’elezione al Soglio di Pietro è stata con il collegio dei cardinali. Il menu prevedeva un piatto di pasta molto semplice; al termine, ha raccontato il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York, è stato proposto un brindisi a Francesco, il quale ha accettato e ha, anzi, ricambiato, alzandosi in piedi e lanciando a sua volta un brindisi ai cardinali, esclamando, con un sorriso, «E che Dio vi perdoni!».
Ma è proprio da un brindisi che possiamo partire per un nuovo viaggio nelle sobrie, ma non banali, abitudini gastronomiche del Santo Padre. Un brindisi che, molto probabilmente, Francesco farebbe con un bicchiere di vino: è noto, infatti, come gradisca, di tanto in tanto, un sorso di corposo rosso Malbec, classico vino argentino, particolarmente apprezzato se proviene dalla provincia di Mendoza, dai vigneti di Lujàn de Cuyo o da quelli nella Valle de Uco.
L’arcivescovo si prepara la cena
Durante il suo servizio come arcivescovo di Buenos Aires, non era raro che a papa Bergoglio fosse chiesto di partecipare a feste o a cerimonie, perfino a compleanni o a benedizioni delle cucine di ristoranti appena inaugurati. Da pastore sempre desideroso di condividere la vita quotidiana del suo gregge, l’arcivescovo cercava di essere presente il più spesso possibile (naturalmente muovendosi in autobus o in metropolitana, passeggero tra i passeggeri…), ma molto raramente decideva di fermarsi a pranzo o a cena.
Era noto, infatti, come Bergoglio preferisse pasteggiare con una scodella di zuppa, cucinata da lui stesso, nel suo appartamentino al secondo piano del palazzo della Curia, a pochi passi dalla cattedrale. Dove il Papa abbia imparato a cucinare, è ormai storia: nella cucina che era il cuore della casa di famiglia, nel quartiere Flores. «Credo che i miei genitori abbiano comprato quella casa perché aveva una cucina enorme», ha raccontato Maria Elena Bergoglio, sorella del Pontefice, al quotidiano La Repubblica.
Pranzi infiniti e bellissimi
«Il fatto è che dopo averla comprata non sapevano più dove mettere i loro cinque figli… Ricordo la sacralità delle domeniche: prima a messa, nella chiesa di San José, poi i pranzi infiniti e bellissimi, con cinque, sei, anche sette portate. E con i dolci. Eravamo poveri ma con grande dignità, e sempre fedeli a quella che per noi era la tradizione italiana.
Mamma era una cuoca eccezionale. Faceva la pasta fresca, i cappelletti con il ragù, il risotto alla piemontese, e un pollo al forno da leccarsi i baffi. Mamma non poteva portare in tavola per due volte di seguito lo stesso piatto. Papà si offendeva. E allora con tutto quello che avanzava s’inventava altre cose. Mascherava». E per certi piatti della “tradizione italiana” anche l’arcivescovo avrebbe fatto uno strappo alla sua abituale sobrietà.
Una volta raccontò scherzosamente di essersi recato in un convento per godersi una porzione di pane italiano inzuppato nella bagna cauda, la tipica “salsa calda” piemontese a base di olio extravergine d’oliva, acciughe e aglio, servita in un tegame di terracotta mantenuto caldo dalla fiamma di una candela messa sotto, e usata per dare gusto a tante verdure di stagione. E non poteva non fare parte dei gusti di Bergoglio il caffè espresso, che gli Argentini chiamano il cafecito: a Buenos Aires, l’arcivescovo era solito fermarsi durante le sue lunghe passeggiate a berne uno.
Prima del caffè, però, c’è il pasto. E allora nei piatti portati in tavola per il Pontefice si troveranno preferibilmente del pollo arrosto servito senza pelle e accompagnato da un’insalata, talvolta del pesce, della patata dolce e tanta frutta, con melone fresco in testa. Non si troveranno, invece, certi sostanziosi classici piatti argentini, come l’asado, ovvero la grigliata mista di carne, o le ricche e friabili empanadas, fagottini ripieni tanto di uova sode quanto di manzo tritato (il picadillo). In linea perfetta con le tradizioni della sua terra natia (con il 98 per cento dei suoi connazionali, secondo una ricerca statistica), invece, Francesco ama matear, cioè degustare il mate, l’infuso più amato in tutta l’America Latina.
I gusti curiosi dei papi del passato
La dieta di papa Francesco non è soltanto frugale, ma anche decisamente sana. Il confronto con i suoi predecessori rivela molte curiosità. Giovanni Paolo II era capace di mangiare un panino al burro con latte di capra per la prima colazione e carni polacche con vino a pranzo, limitandosi ad avanzi per la cena; come dessert amava una torta polacca alla crema, che è divenuta nota come crema papale. Anche il papa emerito Benedetto XVI per molto tempo ha seguito una dieta in stile “bavarese” che poteva prevedere anche un po’ di birra fermentata nello stile dei monaci (e digressioni più “mediterranee” come fettuccine con gamberi, zucchine e zafferano).
Ben più forti erano i palati dei papi del passato, abituati a tenori di vita da monarchi assoluti. Se papa Gelasio (il cui pontificato andò dal 492 al 496) è rimasto nella leggenda per avere inventato le crêpes, va detto che lo fece non per ghiottoneria ma per sfamare i pellegrini francesi che giungevano a Roma.
I banchetti dei papi dei secoli andati
La debolezza per le anguille del lago di Bolsena e per il vino Vernaccia costò cara a Martino IV (il francese Simon de Brion, 1281- 1285), che morì per una indigestione di pesce, ma ebbe almeno la soddisfazione di rimanere nella storia grazie a Dante Alighieri che lo ricordò fra i golosi in Purgatorio (Canto XXIV, 22-24, della Divina Commedia).
Pio II (Enea Silvio Piccolomini, 1458-1464) spese in banchetti 200mila fiorini, una cifra astronomica per i suoi tempi e anche per i nostri, visto che si aggirerebbe sui dieci milioni di euro. Di Pio IV (Giovanni Angelo Medici, 1559-1565), invece, si ricordano banchetti da 24 portate e una passione per le rane fritte. Papa Innocenzo XI (Benedetto Odescalchi, 1676-1689) disse che «Non è peccato mangiare e bere a sazietà per il solo piacere », e sarebbe stato beatificato da Pio XII nel 1956. Gregorio XVI (Mauro Cappellari, 1831-1846) aveva una passione che lo avvicinava al primo Papa, Pietro: amava andare a pesca e consumare le sue prede. In fondo, un comportamento “sportivo”, quasi umile. 
Più sobrietà: così vuole Francesco
Tutt’altro che umile, invece, il comportamento di gozzoviglie di un papa di Avignone. Il 22 novembre 1324, una nipote di Giovanni XXII (Jacques Duèze, 1316-1334) diede un banchetto a base di otto buoi, 55 montoni, otto maiali, quattro cinghiali, 22 capponi, 690 polli, 580 pernici, 270 conigli, 37 anatre, quattro gru, due fagiani, due pavoni, 292 uccellini, un’enorme
quantità di pesci, più di tre quintali di formaggio, tremila uova, duemila frutti e ben 4.012 pani. Il tutto innaffiato da vino di Bordeaux. Francesco avrebbe certamente condannato Giovanni XXII. È una cosa che possiamo dire pensando alla sua reazione di dissenso quando ha saputo del costoso buffet sul tetto del palazzo della Prefettura per gli Affari economici del Vaticano, cui sono stati invitati circa 150 ospiti “vip”, fra i quali politici, imprenditori e giornalisti, in occasione della canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, lo scorso 27 aprile.
Il lussuoso rinfresco è costato 5mila euro di vivande e 13mila di allestimento, pagati da due società private. Francesco ha chiesto di avere una relazione sulla vicenda, vista come uno “spreco”. Il Vaticano dell’era Bergoglio non ospiterà più fastosi banchetti. Non sono compatibili con la «Chiesa povera tra i poveri» che vuole il suo pastore argentino.
I piatti argentini che lui non ama
Le “empanadas” sono dei fagottini di pasta, fritti o al forno, che possono essere salati e dolci; ogni città ha la sua specialità, il suo modo di utilizzare carni, verdure e formaggi per il ripieno. L’“asado” è la grigliata di carne, tipicamente di manzo; la grigliata è un momento di ritrovo fondamentale nella tradizione dell’Argentina, da sempre Paese di allevamenti estensivi.
Un sorso di mate
Secondo uno studio, il 98 per cento degli Argentini beve il “mate”, il caldo infuso di “yerba mate” (erba “mate”) diffusissimo e amato in tutto il Sudamerica. Dagli anni Ottanta del XX secolo, in Argentina si celebrano due Feste nazionali del “mate”,
nella città di Paranà (fra gennaio e febbraio) e nella località di Colonia Italiana (fra agosto e settembre).
Sulla tavola di Papa Francesco
Il pollo arrosto (da mangiare senza pelle, però: è grassa e ipercalorica), i cappelletti al ragù dei giorni della giovinezza nella casa di famiglia a Buenos Aires, il Malbec, orgoglio dei viticoltori argentini: ecco quello che c’è da sapere (ricette per 4 persone):
Il pollo arrosto
Accendete il forno e puntatelo sulla temperatura di 200°. Spennellate con olio extravergine d’oliva un pollo di un chilo ben spennato e pulito; preparate un trito di sale ed erbe aromatiche (potete aggiungere un paio di spicchi di aglio o scorza di limone), e usatelo per ricoprire il pollo e farcirlo all’interno. Mettete il pollo in una pirofila sul cui fondo avrete versato un velo d’olio. Quando il forno raggiunge i 200°, mettete dentro la pirofila col pollo. Calcolate circa un’ora di cottura a questa temperatura. Dopo mezz’ora, girate il pollo con un forchettone per farlo cuocere in ogni parte e bagnatelo con il suo liquido di cottura. Per avere anche un contorno di patate arrosto, tagliatene un chilo a tocchetti e aggiungetele nella pirofila quando fate il controllo di cottura dopo mezz’ora.
Cappelletti al ragù
Per il ragù, unite 3 etti di manzo e 2 etti di lombo di maiale, magri e macinati. Preparate un tegamino di brodo (eventualmente di dado). Preparate una base con una piccola cipolla, un mezzo gambo di sedano e una carota tritati fini (un etto in tutto), un filo d’olio e un tocchetto di burro: fate soffriggere fino a quando gli odori sono ammorbiditi, e quindi aggiungete la carne, mescolate bene e aggiungete un mezzo bicchiere di buon vino bianco, che fate evaporare velocemente alzando la fiamma e mescolando. Salate secondo il vostro gusto. Quando il composto è “asciutto”, aggiungete un paio d’etti di passata di pomodoro, con tre cucchiai di brodo. Lasciate cuocere sobbollendo per almeno un’ora, mescolando ogni tanto; se il ragù vi sembra asciutto, aggiungete brodo.
Il vino Malbec
Il vitigno Malbec è originario della Francia, della regione di Cahors (nel Sud-Ovest del Paese), ed è stato esportato in Sudamerica nell’Ottocento, prima in Cile e poi in Argentina, dove trovò suolo e clima perfetti, in particolare nella regione di Mendoza, nel versante occidentale del Paese. All’inizio del Novecento la maggior parte dei vigneti di Mendoza già erano di “uva francese”, com’era detta, e progressivamente quantità e qualità del vino sono cresciute. Negli anni Novanta il Malbec si è imposto come “campione” dei vini rossi argentini. Si possono individuare quattro “tipi” di Malbec: giovane (per accompagnare antipasti, pizza, carne alla griglia…), rosé (come aperitivo, con pollo e tacchino, pesce), di buona maturazione (carni con salse, risotti) e gran Malbec (cacciagione e carni di sapore “forte”).
di Giorgio Nadali

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