
Quando
oggi si parla di anoressia, termine sempre più frequente, di facile
lettura nei quotidiani e di facile ascolto nei mezzi di comunicazione
audiovisivi, e che ritorna spesso nei dialoghi tra genitori di
adolescenti, la mente vola a immagini sconcertanti di giovani decedute
per la magrezza estrema non più compatibile con la vita, di modelle che
rincorrono una magrezza non più umana, per corrispondere sempre di più a
canoni estetici non naturali e artificialmente indotti, frutto di una
stupida, quanto pericolosa moda dei tempi, alla immagine, sconcertante,
offensiva e di pessimo gusto, di una modella francese, utilizzata dal
fotografo Oliviero Toscani per un basso e volgare scopo pubblicitario,
ammantato della onorabilità di un servizio sociale e si fanno commenti,
si scrivono articoli, si organizzano dibattiti e si chiama in causa, si
colpevolizza, ci si indigna verso i canoni attuali estetici e non solo,
imposti da una società del cosiddetto benessere e consumistica, che
detta e impone regole, a volte mortali.
Non che questo non sia vero, ma l’anoressia non è solo ed esclusivamente questo.
Non è solo un problema della società attuale con le sue deviazioni e
le sue irragionevoli incoerenze e ridurla solo a questo, ad un problema
di immagine, di educazione, di inseguimento di falsi miti, imposti e
accettati è, a mio modesto parere, un grande equivoco, pericoloso, molto
pericoloso, in quanto ci permette di illuderci, che solo imponendo
nuovi modelli, solo proibendo i modelli precedenti, solo facendo
scomparire e abolendo le taglie minime degli abiti come si è fatto, il
problema possa essere risolto e accantonato. Non è così, purtroppo, e
seguendo questa strada si rischia di andare incontro a grosse delusioni,
inevitabili, quando si accettano superficialmente, per buone, ipotesi
suggestive ed in linea con lo spirito dei tempi, ma destituite di valore
scientifico.
Allora ritengo che sia necessario, indispensabile, prima di tutto
fare chiarezza sull’argomento e sgombrare il campo da equivoci,
incertezze e imprecisioni pericolose. Per far questo, la mia
Professoressa di Scienze del Liceo, mi ha insegnato, e ritengo
l’insegnamento tuttora validissimo, che bisogna prendere le mosse dalla
definizione stessa del fenomeno, di qualunque natura esso sia, perché
solo così si può procedere con metodo scientifico e per questo nulla vi è
di meglio che l’etimologia delle parole.
Anoressia: la parola deriva dal greco ed è composta di
òrexis=appetito e il prefisso an privativo, quindi letteralmente
mancanza di appetito e già qui nascono i primi errori ed equivoci in
quanto non sempre le pazienti ed i pazienti anoressici sono
caratterizzati ed affetti dalla mancanza dell’appetito, appunto.
E’ necessaria una distinzione ed una dichiarazione fondamentale,
senza la quale non è possibile procedere oltre: esistono ed è
indispensabile distinguerle, due forme diverse di anoressia.
Una anoressia secondaria, successiva e conseguente ad altre
patologie, siano esse fisiche, o psichiche. Tra le prime possiamo, e
solo a titolo esemplificativo, ricordare l’anoressia conseguente a
malattie infettive, neoplastiche, degenerative ecc. mentre tra le
seconde la responsabilità fondamentale spetta di diritto alla
depressione in tutte le sue forme, endogena, reattiva, endoreattiva,
post-partum, senile ecc., ma è presente, anche se in forma minore, nella
psicosi schizofrenica ed in alcune personalità psicopatiche A tutte
queste forme il termine letterale di anoressia = mancanza di appetito
spetta di diritto ed è perfettamente appropriato in quanto tutte sono
caratterizzate da questa mancanza, più o meno grave e duratura di
appetito.
Con un motu proprio ed una scelta del tutto personale, che può essere
senza dubbio criticabile e non condivisa, ascriverei a questa forma di
anoressia secondaria, anche tutti gli episodi, sempre purtroppo più
diffusi e frequenti oggi, di comportamenti alimentari alterati e
patologici, tesi e miranti alla ricerca di una magrezza, o meglio detto,
di una forma corporea, che corrisponda ai canoni estetici del tempo e
che permetta di uniformarci e appiattirci su questi, trovando in questa
uniformità, pedissequa accettazione e apparentemente spontanea
acquisizione di tipi e modelli, un motivo di rassicurazione, di
identificazione personale, di gratificazione estetica, di incorporazione
in un gruppo.
Va da sé che questo atteggiamento è particolarmente suggestivo e
pericoloso, proprio nelle età adolescenziali e giovanili, quando è più
forte e più cogente la necessità di appartenere ad un gruppo, di trovare
in essa appartenenza la nostra identità e rassicurazione esistenziale,
la certezza di apprezzamento da parte degli altri, verificandosi così il
paradosso secondo cui la nostra specifica identità non risulti da una
individualità cercata, vissuta e sofferta, ma dalla appartenenza ad una
comunità, nella quale veniamo accettati ed entriamo a far parte.
E se i modelli estetici della società sono quelli di una magrezza
innaturale ed estrema, ricercata, pubblicizzata, esposta, indotta ad
esempio, modello di riferimento ed obbiettivo da raggiungere, ecco
spiegata come diretta conseguenza, la ricerca strenua, affannosa,
autolesiva estrema, di ottenere e verificare in noi quei canoni di
bellezza imposti da una idiota e pericolosa moda e costume. Ecco
spiegato il fenomeno, purtroppo sempre più diffuso, di adolescenti e
giovani donne, soprattutto, ma si stanno facendo strada anche gli
uomini, che per aderire a questi modelli iniziano ad imporsi restrizioni
alimentari assurde, incongrue e pericolosissime in una età di sviluppo,
spesso assolutamente autogestite, autoprescritte, desunte e tratte dai
soliti periodici e giornali, specifici e non, che pur di vendere non si
pongono minimamente il problema dei danni potenziali e reali che possono
provocare, in persone spesso immature, insicure e fortemente
influenzabili.
Per non parlare poi di quei medici, sedicenti dietologi, che
prescrivono regimi alimentari assurdi e completamente irrazionali,
associando a questi, farmaci, spesso sotto forma di preparazioni
galeniche, contenenti miscugli assurdi di sostanze diuretiche,
antidepressivi quali la fluoxetina e anoressizzanti, associandoli
naturalmente a benzodiazepine per contrastare gli effetti eccitanti di
queste ultime. Considero questa pratica pericolosissima e criminale sia
per l’uso di sostanze anoressizzanti, sia per l’uso assolutamente
improprio ed inadeguato di psicofarmaci, che solo andrebbe riservato
allo psichiatra, unico competente per una diagnosi ed una conseguente
terapia psicofarmacologica.
L’assunzione impropria ed inopportuna di tali sostanze può provocare
danni molto gravi e spesso irreversibili. A me psichiatra è capitato di
frequente di dover curare pazienti con una sintomatologia francamente
psicotica, conseguente all’uso di anoressizzanti, o con sindromi
depressive anche gravi, successive all’uso degli stessi anoressizzanti.
Da non dimenticare poi che l’uso di antidepressivi, improprio, se non
successivo ad una diagnosi precisa ed attenta, può provocare episodi di
eccitamento maniacale, o slatentizzare una psicosi maniaco-depressiva
esistente, ma ancora latente.
In questa terza forma di anoressia, ripeto secondaria, il termine
letterario di anoressia, nel senso etimologico di mancanza di appetito, è
improprio e fuorviante in quanto, ben lungi dal mancare di appetito,
queste giovani persone, sono vittime di una fame atroce e giustificata
perfettamente dalla assurda privazione di apporto alimentare
autoimposta, o ancor peggio prescritta da qualcuno, con assoluta e
pericolosissima incompetenza. Ma la fame sofferta è meno potente, come
forza cogente, del desiderio di raggiungere gli obbiettivi prefissati.
Spesso in queste giovani persone i periodi di digiuno forzato sono
interrotti da crisi improvvise ed imprevedibili di bulimia, veri e
propri raptus alimentari, con consumo incontrollato, compulsivo ed
estremo di grandi quantità di cibo e inevitabili, successivi sensi di
colpa e di autoriprovazione che culminano, a volte, con comportamenti
espulsivi di quanto ingerito (vomito autoprovocato, uso di lassativi,
diuretici, enteroclismi).
Per questa forma secondaria di anoressia è valida, utile, doverosa e
necessaria, indispensabile, una intensa attività, singola e collettiva,
di educazione e di rieducazione, diciamo culturale e sociale, tesa a
sconfiggere, a reprimere, ad impedire modelli estetici stupidi,
innaturali e pericolosissimi per menti ancora in evoluzione, o comunque
fragili e fortemente influenzabili, prive ancora di quello spirito
critico che permette di distinguere tra ciò che è bene e ciò che è male,
tra sano e malato, tra intelligente e sciocco.
Discorso completamente a parte e separato, dobbiamo invece fare per
quanto riguarda l’anoressia primaria o primitiva, non conseguente quindi
a nessuna altra patologia e legata invece,a mio parere, ad una
struttura particolare di personalità, che si esplica e si esprime con
molteplici caratteristiche e peculiarità, tra le quali il disturbo del
comportamento alimentare, si configura come quella più eclatante ed
immediatamente visibile, nonché pericolosa e a volte, purtroppo spesso,
anche mortale.
Trattasi di una distinzione importante, indispensabile ed
inalienabile, se non vogliamo incorrere nell’equivoco di facili ed
erronee generalizzazioni, di pseudospiegazioni psicologicamente
omnicomprensive, che nella intenzione di spiegare tutto, non spiegano
niente, confondendo le idee di chi invece avrebbe bisogno di concetti
chiari ed esaustivi, soprattutto per saper intervenire appropriatamente
ed al momento opportuno, ossia tempestivamente.
Forse un poco di storia può risultare utile ad una maggiore comprensione.
La prima descrizione clinica della anoressia primaria, detta anche
anoressia nervosa, risale al 1689, quando il medico inglese Richard
Morton pubblicò il primo resoconto di due pazienti, un maschio di 16
anni ed una femmina di 18, che rifiutavano di alimentarsi, pur in
assenza di altre malattie organiche.
Nel 1873, quasi contemporaneamente e all’insaputa l’uno dell’altro,
il medico Charles Lasegue a Parigi e il medico William S. Gull a Londra,
descrissero ed illustrarono la patologia come noi oggi la conosciamo,
denominandola rispettivamente anoressia isterica, il primo e anoressia
nervosa ilsecondo, riferendosi entrambi alla anoressia primaria.
Lo sviluppo di una Psichiatria scientifica in Europa, soprattutto in
Germania e in Francia dette un grande impulso alla conoscenza di questa
patologia, approfondendosi la investigazione e la descrizione degli
aspetti psicopatologici di questa, soprattutto per opera di grandi
psichiatri quali Emil Kraepelin, Bumke, E.Kretschmer, in Germania e
Jean-Martin Charcot, Gilles de la Tourette, Pierre Janet in Francia.
Una parentesi importante nella storia della anoressia nervosa si aprì
nel 1914 e fino al 1930. Nell’anno dello scoppio della Prima Guerra
Mondiale, infatti, il medico e fisiologo Simmonds ipotizzò che la
sintomatologia, ormai sufficientemente e chiaramente identificata nelle
pazienti anoressiche, fosse da attribuirsi ad una insufficienza
pituitaria grave e che questa ipofunzione della ipofisi fosse unica
responsabile della patologia, spostandosi così il campo della indagine,
dal piano prettamente psichico e psicopatologico, a quello ancora una
volta organico.
Questo periodo di “sonno” per la psicopatologia della anoressia
nervosa, a favore della endocrinologia, durò approssimativamente fino al
1930 quando uno studio condotto da Berkman su 117 pazienti anoressiche,
risvegliò finalmente e ancora una volta, l’interesse per la
psicopatologia di questa affezione.
Gli ultimi, importanti contributi sono da attribuirsi all’opera di
Hilde Bruch, Arthur H. Crisp e Gerald M. F. Russell, cui dobbiamo il
nuovo impulso fornito allo studio della psicopatologia della anoressia
nervosa che, come categoria diagnostica, è stata inserita fin dal 1968
nella seconda edizione dello statunitense Manuale Diagnostico Statistico
dei disturbi mentali (DSM-II) e continua ad essere presente nelle
edizioni successive, con i dovuti aggiornamenti, fino alla attuale
edizione.
Ho omesso consapevolmente e intenzionalmente e mi assumo intera la
responsabilità di questa omissione, il contributo della Psicoanalisi,
perché a mio modesto parere, è ascientifico e fuorviante, come d’altra
parte in altri ambiti e capitoli della Psichiatria.
Per quanto concerne la sintomatologia, dobbiamo necessariamente
ricorrere e far riferimento, lo dico non senza rammarico e disappunto,
al DSM, il Manuale Diagnostico Statistico dei disturbi mentali, la
Bibbia della Psichiatria statunitense e divenuto anche in Europa,
purtroppo, il punto di riferimento per ogni diagnosi di ambito
psichiatrico.
Nella quarta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental
Disorders (DSM-IV), l’anoressia nervosa è definita come un disturbo in
cui il paziente rifiuta di mantenere il peso corporeo al di sopra, o al
livello del peso minimo normale per età e statura, ha un’intesa paura di
aumentare di peso e dà eccessiva influenza alla forma del corpo ed al
peso corporeo nella valutazione della propria autostima. L’anoressia
nervosa è caratterizzata da un grave disturbo dell’immagine corporea,
dalla ricerca della magrezza e dal rifiuto di ammettere la gravità della
condizione legata al basso peso corporeo. Secondo i criteri diagnostici
del DSM-IV per l’anoressia nervosa, le donne in età fertile devono
avere l’assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi. Il DMS-IV
divide l’anoressia nervosa in due sottotipi: 1. restrittivo, dove il
paziente riduce l’assunzione di cibo; 2. bulimico, dove il soggetto
presenta regolarmente abbuffate e condotte di eliminazione,
autoinducendosi il vomito o usando lassativi e diuretici. Tra i
comportamenti compensatori all’abbuffata, ci può essere anche
l’esercizio fisico eccessivo. I criteri diagnostici del DMS-IV per
l’anoressia nervosa sono illustrati in dettaglio nella Tabella che
riporto integralmente più in basso . I sintomi bulimici possono
manifestarsi oltre che come parte dell’anoressia nervosa, anche come
disturbo a se stante (bulimia nervosa).
E’ importante rammentare, ancora una volta, che anoressia,
letteralmente mancanza di appetito, è termine sicuramente inadatto per
queste pazienti, che combattono continuamente per il controllo della
sensazione di fame. La mancanza dello stimolo dell’appetito, può
presentarsi solo in una fase molto avanzata della malattia, quando la
persistenza dei corpi chetonici nel torrente circolatorio è in grado di
contribuire all’inibizione parziale dei centri della fame ipotalamici.
Criteri diagnostici DSM-IV per l’anoressia nervosa
Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al livello del
peso minimo normale per l’età e la statura (p.es. perdita di peso che
porta a mantenere un peso corporeo al di sotto dell’85% di quello
atteso; oppure incapacità di raggiungere il peso previsto durante il
periodo della crescita, con la conseguenza che il peso corporeo rimane
al di sotto dell’85% rispetto a quanto atteso.
Intensa paura di aumentare di peso o di diventare grassi, anche se si è sottopeso.
Alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del
corpo; eccessiva influenza del peso o della forma del corpo
sull’autostima, o rifiuto di ammettere la gravità dell’attuale
condizione di basso peso corporeo.
Nelle donne dopo il menarca, amenorrea, cioè assenza di almeno tre
cicli mestruali consecutivi (una donna viene considerata amenorroica se i
suoi cicli si manifestano solo a seguito della somministrazione di
ormoni, p. es. estrogeni).
Specificare il tipo:
Tipo con restrizioni: nell’episodio attuale di anoressia nervosa il
soggetto non ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di
eliminazione (cioè vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi,
diuretici o enteroclismi)
Tipo con abbuffate/condotte di eliminazione: nell’episodio attuale di
anoressia nervosa il soggetto ha presentato regolarmente abbuffate o
condotte di eliminazione (cioè vomito autoindotto, uso inappropriato di
lassativi, diuretici o enteroclismi).
Tabella tratta dal DSM-IV. Diagnostic and Statistical Manual of
Mental Disorders, ed 4 Copyright American Psychiatric Association,
La prognosi dell’anoressia nervosa è molto variabile: si passa da un
estremo rappresentato dalla guarigione spontanea ad un altro estremo
meno fortunato, caratterizzato da un decorso con riacutizzazioni e
remissioni, fino al decesso.
Discorso molto complesso e certamente non giunto a conclusione è
quello sulla eziologia della anoressia nervosa, per le quale sono state
formulate ipotesi molteplici, che spaziano dallo psicologismo più
radicale ed esasperato, all’assoluto organicismo, ma più probabilmente, a
mio parere, nella patogenesi dell’anoressia nervosa sono implicati
fattori psicologici, sociali e genetici. Si è genericamente ipotizzato
che le giovani anoressiche vivano un conflitto relativo alla transizione
tra adolescenza ed età adulta, altrimenti e più drammaticamente una
sorta di terrore e di rifiuto di abbandonare un amorfo e rassicurante
periodo prepuberale, per trasferirsi in una dimensione postpuberale, con
tutto ciò che essa comporta, soprattutto in riferimento alla
sessualità. Tuttavia, alcuni temi cari alla letteratura più datata, come
l’elevato livello socio-culturale, i conflitti familiari, in particolar
modo l’anaffettività materna, non sono più descritti tra i fattori
predisponenti, o precipitanti l’insorgenza dell’anoressia. In passato si
è lavorato molto per cercare le cause dei disturbi alimentari
all’interno delle famiglie, ma nessuna ricerca ha dimostrato differenze
significative nel vivere e relazionarsi, in famiglie con un membro
affetto da anoressia nervosa rispetto ad altre famiglie, mentre si fa
sempre più strada l’ipotesi della base genetica della malattia, che
sarebbe legata anche ad una struttura di personalità peculiare del
paziente anoressico.
E proprio a proposito della struttura di personalità di tale
paziente, posso spiegare la ragione della mia personale avversione al
DSM, in generale e nello specifico a proposito di anoressia.
Come si può facilmente evincere dai criteri diagnostici che il DSM
enumera e che riporto a proposito di anoressia, nello specifico, ma
egualmente per ogni altra patologia, cui viene attribuito ambiguamente
il termine di “disturbo”, la diagnosi, secondo questo “manuale”,
dovrebbe scaturire dalla presenza di almeno tre dei sintomi
caratteristici della malattia, sintomi clinici che però sono solo
elencati in successione, enumerati vorrei dire, facendo così, d’un
balzo, piazza pulita di ogni ragionamento clinico, di tutto il sapere ed
il ragionamento psicopatologico che rappresentano un patrimonio
preziosissimo ed inalienabile della Psichiatria europea. Non sempre ciò
che proviene da oltreoceano è migliore del nostro.
Dal punto di vista psichiatrico è opportuno precisare e ribadire che,
come ho accennato in precedenza, erroneamente l’anoressia nervosa
primaria viene considerata un disturbo del comportamento alimentare,
essendo quest’ultimo solo l’anello finale di una catena etiologica che
prende origine da una precisa struttura di personalità del paziente
anoressico e proprio una analisi approfondita di tali caratteristiche
tipiche e specifiche, patognomoniche vorrei dire, può permetterci una
chiave interpretativa di un fenomeno così complesso quale l’anoressia
primaria.
Caratteristiche fondamentali del paziente che soffrirà, soffre o ha
sofferto di questa patologia sono, infatti, ben precise, delineate e
ripetentesi con costanza in ogni caso. Ne faccio solamente una
descrizione sommaria, perché una più approfondita esulerebbe dai termini
che ci siamo prefissi: personalità rigida e perfezionista, estremamente
determinata, pretesa di alte prestazioni in ogni ambito, tendenza ad
autocolpevolizzarsi, se queste prestazioni non vengono raggiunte, senso
del dovere portato all’estremo, pretesa di un rigido autocontrollo in
ogni aspetto della propria esistenza, in modo particolare del proprio
fisico e conseguentemente anche dell’alimentazione, atteggiamento
fortemente sessuofobico, paura delle responsabilità che l’età adulta
comporta, desiderio di controllo su tutto ciò che li circonda, umano e
materiale, paura delle novità e degli imprevisti, consequenziale
organizzazione rigida della propria vita, secondo schemi precostituiti
ed immutabili, schiavizzazione dei propri familiari che vengono coartati
e coercizzati per mezzo di ricatti, soprattutto affettivi, rapporti con
gli altri solo apparentemente profondi, ma in realtà superficiali,
perché a nessuno viene concesso di penetrare a fondo e conoscere la
propria intimità, tendenza alla menzogna e forte sospettosità, che
raggiunge a volte i limiti della ideazione paranoica, spesso, ma non
sempre, paura dello sporco, sia in senso fisico, sia soprattutto morale,
con pratiche autopunitive, se si commettono trasgressioni, ordinatezza
ossessiva, attenta cura del proprio abbigliamento mai trasandato, o
trascurato, ideazione ossessiva riguardo al cibo e al computo delle
calorie introdotte e consumate, autoimposizione di una estenuante
attività fisica quotidiana, egocentrismo e spesso atteggiamenti
paradossalmente seduttivi, tesi a captare l’attenzione e la benevolenza
degli altri, non propensione alla maternità. Risulta quindi un quadro di
personalità molto caratteristico e complesso, che rimane invariato
anche quando si guarisce dalla anoressia sensu stricto.
Vorrei dire che si “guarisce” dalla anoressia, ma non si “guarisce”
dalla personalità anoressica, che rimane comunque tale anche quando le
problematiche più direttamente legate alla alimentazione sono risolte e
scongiurato il pericolo di vita.
Chiudo questo, forse troppo lungo discorso, ribadendo ancora una
volta che, per non correre il rischio di troppo facili generalizzazioni e
interpretazioni imprecise e fallaci, con conseguenti proposte di
soluzioni inadeguate, dobbiamo tener ben distinte e separate una
anoressia primaria o nervosa, da quella anoressia secondaria, legata a
fattori di costume e all’inseguimento di canoni estetici estremi e
improponibili, quando giovani adolescenti soprattutto, per piacere ed
essere accettati dal gruppo, si sottopongono a diete restrittive,
drastiche e pericolose, dalle conseguenze spesso drammatiche ed
irreparabili.
Mentre questa ultima può essere considerata come frutto e specchio
dei tempi presenti, dominati e oppressi da una “cultura dell’apparire” e
quindi come un fenomeno di costume attuale e tipico del momento, la
anoressia nervosa, in quanto patologia, è sempre esistita, in tutte le
epoche storiche, anche quando i canoni estetici femminili erano opposti a
quelli attuali, vedi ad esempio l’imperatrice Sissi moglie di Francesco
Giuseppe e la stragrande maggioranza delle Sante della Chiesa. Per
questo motivo nel primo caso e solo in questo è importante e doveroso
esercitare una pressione su chi, con leggerezza, o con dolo, stabilisce
ed impone modelli estetici estremi.
Nulla a che vedere con le problematiche di personalità
caratteristiche invece della anoressia nervosa, in conflitto perenne,
soprattutto, con la sessualità.
Paradossalmente si potrebbe dire che le pazienti affette da anoressia
nervosa non desiderano apparire, anzi desiderano scomparire, se
possibile….e a volte ci riescono, le altre invece desiderano,
all’opposto “apparire” adeguate, in sintonia e in conformità ai dettami
della moda vigente.